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Brutto colpo della burocrazia alla produzione farmaceutica del Lazio. La Catalent dirotta il piano di produzione del farmaco anti Covid in Gran Bretagna. Bruciati 100 posti di lavoro
L’annuncio un anno fa: la multinazionale farmaceutica Catalent illustrò un piano di espansione da 100 milioni di dollari presso il suo stabilimento italiano di Anagni (Frosinone) per aumentare la capacità di produzione di sostanze farmacologiche biologiche, e, in particolare vaccini. Ma non aveva fatto i conti con la burocrazia. I tempi eccessivamente lunghi per il rilascio delle autorizzazioni, infatti, hanno indotto il Cda della società a dirottare in Inghilterra tutto il piano di produzione previsto per Anagni. A cominciare dai “bioreattori” indispensabili per la produzione dei vaccini anti Covid.
Un colpo durissimo per il più grande polo farmaceutico del Lazio, visto che, oltre al maxi investimento, andranno in fumo 100 posti di lavoro. Tutta colpa della burocrazia, o meglio: delle autorizzazioni che tardano ad arrivare. E con milioni di persone, nel mondo, ancora alle prese con la pandemia, il tempo è un elemento determinante. Ma la burocrazia ha i suoi tempi: Anagni, infatti, rientra nell’area Sin (Sito di Interesse Nazionale) del Bacino del fiume Sacco. Un’area, cioè, che da decenni è oggetto di studi contro l’inquinamento ma dove, al di là di tanti proclami, non è stato fatto nulla per la bonifica e il risanamento. I vincoli, però, sono rimasti. E questi vincoli sono così stringenti che ogni procedimento, oltre alle autorizzazioni della Provincia e della Regione in tema ambientale, devono obbligatoriamente passare anche al vaglio del Ministero della Transizione ecologica. E così i tempi si allungano a dismisura.
La Catalent, nel luglio scorso, per far fronte alla crescente domanda del mercato europeo, avviò le procedure per l’installazione di due bioreattori. Altri sei (da 2 mila litri) sarebbe stati realizzati subito dopo. Alla fine del maxi investimento (previsto per il prossimo anno) il sito produttivo avrebbe avuto 16 mila litri di capacità produttiva. Ma ad oggi, a causa proprio degli ostacoli burocratici, non è stato installato nemmeno un bioreattore. La pratica si è arenata al Ministero della Transizione ecologica che, inaspettatamente, ha richiesto un ulteriore parere del Comune (tramite un’apposita Conferenza dei Servizi). Di fatto è passato un anno, ma senza alcun risultato. Così, oggi, l’attività dello stabilimento si limita all’infialamento del vaccino. Ossia al riempimento asettico dei flaconi e nel confezionamento dei prodotti.
Il primo vaccino “infialato” è stato quello di AstraZeneca (prodotto in Belgio) e poi trasportato in Ciociaria. Poi, col passare dei mesi è stata la volta del vaccino Johnson & Johnson e, infine, di Moderna. Il sito di Anagni, infatti, vanta un record mondiale: è il più rapido al mondo per l’infialamento delle medicine. E la velocità, così come la puntualità manifatturiera, costituiscono un enorme valore aggiunto nella farmaceutica. Tempi, però, ora bruciati dalla lentezza della burocrazia. E con la produzione dirottata in Inghilterra il polo farmaceutico del Lazio perde una delle maggiori occasioni di consolidamento nel mercato europeo e mondiale.
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